Il ricordo e la memoria
29 Agosto 2018
A cura di Max Ferrero
Quant'è bello il nostro linguaggio che permette ancora di distinguere tra ricordo e memoria, nella lingua inglese entrambi i termini si traducono in "memory" ma per noi
latini esiste ancora questa distinzione, anche se raramente sappiamo descrivere le differenze dell'una e dall'altro. Possiamo dire che la memoria è un valore,
anche etico, in cui si tende a perpetuare e i contenuti del passato. Non dimenticare la saggezza antica è cultura della memoria, non dimenticare l'olocausto della seconda guerra
mondiale è etica della memoria. Il ricordo, dal termine latino re-cordor, significa "richiamare al cuore", un rievocare sentimenti prettamente personali
che non hanno bisogno di precisione, ma solo di stimoli, per riaffiorare alla mente. Anche le nostre foto possono essere memoria e ricordo. E se riusciremo a distinguerle
sapremo assegnare loro un valore e un compito.
Nella scorsa puntata abbiamo
visto come sia facile perdere sia la memoria sia i ricordi attraverso l'uso esclusivo della fotografia digitale in genere e degli smartphone in particolare. La fotografia digitale
è solo una sequenza di due numeri memorizzati in una scheda di sempre più piccole dimensioni all'interno di uno slot di protezione. Ciò che può accadere è imponderabile:
le memory card potrebbero subire danneggiamenti fisici, ossidazioni dei contatti o cortocircuiti, finché le fotografie saranno lasciate al loro interno, avranno sempre una
possibilità di perdersi nel nulla. Oltre a ciò, e non voglio fare il menagramo, un cellulare potrebbe essere perso, oppure rubato, oltre al danno economico ne avremmo anche uno
morale nell'aver perso tutti i ricordi e anche una minima parte di memoria. Che cosa fare allora? Ci sono alcuni passaggi obbligatori e altri tutti da scoprire, partiamo dai più
semplici e necessari, fino ad arrivare ai concetti più profondi e romantici della fotografia.
1- Backup
La cosa più logica che un appassionato può fare, è duplicare i file su un altro apparato di memoria. Questa potrebbe essere un'altra scheda, si possono sfruttare i vari servizi
"cloud" oppure munirsi di un vero e proprio hard disk esterno.
Il metodo della scheda di memoria è sicuramente il più pratico, ma le ridotte dimensioni dell'oggetto ne faranno una possibile vittima di smarrimento.
I servizi Cloud hanno delle indubbie qualità: si possono archiviare le foto pochi istanti dopo averle scattate; si può accedere all'archivio attraverso
qualsiasi hardware e da qualsiasi luogo (purché ci sia una linea di connessione attiva) ma hanno l'inconveniente di essere gratuite solo se si sfruttano piccole memorie.
In genere i servizi sono gratis se lo spazio utilizzato non supera i 5 - 15Gb secondo il fornitore, una capienza del tutto insufficiente per chi si diverte a scattare e
comincerà ad apprezzare l'archiviazione. Incrementare la memoria di registrazione è possibile ma il servizio diventa a pagamento. Nella media il costo è di circa 8 euro
mensili per portare lo storage a circa 100Gb, una capienza più che sufficiente per includere anche piccoli filmati, ma dal costo tutt'altro che contenuto se paragonato
agli hard disk fissi.
La mia soluzione preferita è quella che si può realizzare utilizzando hard disk capienti e veloci. Attualmente il costo di un buon disco di memoria esterno
da 1Tb (cioè 1000Gb) si aggira su una cifra contenuta tra i 40 e i 50 euro (la metà di un abbonamento cloud per un anno con 10 volte la capienza!). Un hard disk esterno, oltre ai
costi ridotti, ha l'indubbia qualità di essere veloce e di non dipendere dalla qualità della connessione che, per quanto buona, non potrà mai competere con un collegamento USB 2.
I punti dolenti sono l'obbligo di possedere un computer, il vincolo di averlo sempre appresso e il rischio, anche lui purtroppo, di smagnetizzazioni, rotture o furti.
Ognuno può scegliere la formula più adatta, magari incrociando due dei tre suggerimenti che vi ho elencato, realizzando così un doppio backup, consigliato a tutti gli appassionati
della materia.
2 - La catalogazione
Le foto si possono perdere, anche se presenti in qualche luogo e da qualche parte dei nostri device. Non c'è bisogno di rovinare un dispositivo di memoria per perdere
uno scatto, è sufficiente metterlo in qualche luogo recondito, nasconderlo sotto due metri di dati per non ritrovarlo più. Occorre procedere con un metodo di catalogazione.
La maggior parte delle persone preferisce archiviare le proprie foto dentro delle cartelle catalogate cronologicamente, cioè anno per anno. E' uno dei peggiori metodi che io
conosca, soprattutto se si scatta molto e se gli anni passati a produrre immagini sono molti. Non mi ricordo che cosa ho fatto nel giugno del 2015, voi? Cercando una specifica foto
con il metodo cronologico, dovremmo avere NOI una memoria fantastica per trovare ciò che c'interessa. In alternativa la soluzione è di perdere molto tempo e controllare ogni
singola cartella finché lo scatto salterà fuori. Tutto ok, ma alla fine incroceremo i ricordi confondendo la memoria, e quello scatto che adoravamo, ma archiviato male, non salterà
più fuori. Anche a questo problema si può porre rimedio e quello più funzionale è l'assegnazione di parole chiave o "tag" a ogni scatto realizzato e memorizzato nell'archivio.
Vi chiederete: "Ma come si fa a catalogare tutte le foto che abbiamo scattato? E' un'inutile perdita di tempo!", io vi rispondo che catalogare tutto è un'esigenza dei
professionisti non degli amanti della fotografia, ma classificare le immagini più importanti è invece un dovere di tutti. Ecco allora che subentra un altro fattore denominato
selezione. Tramite esso possiamo determinare l'importanza e la gerarchia delle foto prodotte, dando rilevanza e cura solo a quelle di maggiore prestigio.
Non bisogna sprecare tempo a ottimizzare tutto, è necessario dedicare un minimo di tempo per la scelta e solo sugli scatti selezionati apporteremo tutta la cura della
postproduzione e del rinvenire. Su questo specifico argomento torneremo sul prossimo articolo.
3 - L'importanza di una stampa
Potrete non essere d'accordo, ma l'importanza che si assegna a una stampa fisica, rispetto a un'immagine su monitor, è di tutt'altro spessore. Sentire sotto le proprie
dita un supporto cartaceo di qualità, assegna pregio all'opera, anche se è semplicemente l'immagine riprodotta di un evento normale. La stampa è concreta e uguale per tutti
gli osservatori, non cambia secondo il monitor utilizzato e, soprattutto, è il prodotto di una selezione messa in pratica dall'autore. Sul cellulare o sull'hard
disk teniamo tutto, ma solo per le foto migliori proviamo il desiderio di stamparle. La dimensione, poi, è un ulteriore banco di prova della qualità. Nessuno si sognerebbe di fare
un ingrandimento di una foto mediocre, solo il "meglio" merita dimensioni estese, solo l'ottimo riesce a raggiungere la promozione a vivere per anni sul muro di casa, appeso con orgoglio dal proprietario e autore.
Il mio amore per la stampa nasce nei tempi dell'analogico, ma è un concetto universale che cattura sempre più appassionati della fotografia evoluta, quella che si basa sul
contenuto e sulla condivisione visiva diretta, non opinabile e tangibile. Il digitale ha saputo però sfruttare nuove tecnologie per rendere disponibile strumenti impensabili solo
qualche anno fa. Immaginate di avere più foto di cui andare fieri e immaginate facciano parte di un racconto, di un evento o siano semplicemente accomunate da un medesimo
argomento. Questo è il materiale giusto per realizzare un volume personale, importante perché a tiratura limitata (se non unico) ma dai costi contenuti e dalla qualità ineccepibile.
Un volume con il nostro lavoro da porre in biblioteca in mezzo agli altri libri cui teniamo particolarmente.
Sto parlando dei libri fotografici che ognuno di voi può realizzare attraverso i consigli che ho elencato: backup (per salvare), catalogazione (per trovare) e selezione
(per scegliere). Unica cosa che forse potrebbe sembrare ostica è l'impaginazione, ma anche questa può essere superata con un briciolo di vera passione e dedicheremo anch'essa
un futuro articolo.
Non dimentichiamo e non scordiamo nulla di ciò che abbiamo vissuto e fotografato, non perdiamo un singolo istante della nostra vita e diamo loro una degna rappresentazione
visiva, questo è il più bel consiglio che un fotografo potrebbe darvi.
Max Ferrero
Giornalista dal 1987, Max Ferrero ha pubblicato su tutte le maggiori testate italiane e i suoi reportage si sono concentrati e specializzati nell'ambito della ricerca sociale. Servizi fotografici sulla guerra nell'ex Jugoslavia, il Kurdistan iracheno, il Centro America, l'immigrazione extracomunitaria, i nomadi, gli ospedali psichiatrici e le carceri sono stati oggetto di pubblicazioni e mostre sia per Associazioni, Musei o Comuni quali: Torino, Milano, Lucca, Roma, Novara, Racconigi, Venaria Reale, Chivasso, Gaeta. Ha collaborato con le agenzie fotogiornalistiche: Lucky Star, Photodossier, Linea Press, Blow Up e attualmente AGF. Co-fondatore dell'agenzia fotografica Sync-studio di Torino, attualmente lavora anche su temi geografici e didattici. Attraverso la sua attività d'insegnante, collabora dal 2009 con il sito di divulgazione fotografica Fotozona (www.fotozona.it) curandone gli articoli tecnici e l'aspetto critico. Dal 2011 è professore di fotografia presso l'Accademia di Belle Arti di Novara. Nel 2017 pubblica presso la casa editrice Boopen il libro di tecnica base "tre gradi di profondità fotografica".