Maledetto rumore - parte 1
30 Aprile 2019
A cura di Max Ferrero
Qualcuno paragona il rumore digitale alla vecchia grana di analogica memoria. Se poniamo attenzione all’etimologia delle due parole, possiamo osservare
come vi siano ben poche attinenze.
Nelle pellicole fotografiche, il rumore era definito dalla dimensione dei granuli di alogenuro d’argento che componevano l’emulsione: maggiore la dimensione e maggiore era
la sensibilità che possedevano nei confronti della luce. Usare pellicole ad alta sensibilità (ISO 400 o superiori) permetteva di scattare in condizioni di luminosità scarsa.
Per contro, si ottenevano risultati con grana evidente, perdita di croma (colori più morbidi e fiacchi) e contrasto attutito. La grana non era una conseguenza solo d’attribuire
alla sensibilità, ma anche dalla metodologia di sviluppo e dal tipo stesso di pellicola usato. Scegliendo i bagni appropriati, nella fase di sviluppo del negativo, era possibile
incrementare o ridurre la presenza di grana, oppure decidere se averne un tipo più “secco” per abbellirne l’impatto visivo con tecniche riconducibili al puntinismo.
Come ulteriore possibilità, era sempre possibile “tirare” la pellicola, cioè esporla per una sensibilità più alta di quella nominale e svilupparla con le
necessarie correzioni.
La scelta della pellicola era fondamentale per ottenere un preciso effetto. Quando si ricercava un esito pittorico a basso contrasto e ad alta granulosità, la scelta cadeva
sempre su una in particolare: la Recording 2475 della Kodak che con 1000 ISO nominali, ma “tirabile” fino a 6400, forniva risultati sorprendenti e pittorici.
Non erano tutte rose e fiori; l’alta sensibilità era possibile solo con il bianco e nero, il colore era improponibile oltre gli 800 ISO, i toni s’incupivano tendendo al bianco e
nero. Non vi era altra soluzione che l’utilizzo del flash o la rinuncia a priori dello scatto.
Con il digitale, oggi, possiamo cambiare la sensibilità del sensore ogni volta che lo si desidera. La perdita di contrasto e di croma è stata drasticamente ridotta, possiamo
spingerci tranquillamente oltre i 1600 ISO ma… attenzione, aumentando la sensibilità aumenta anche un effetto che sembra la vecchia grana analogica ma si chiama rumore digitale e
la sua analogia più prossima non è nell’ambito della fotografia ma in quella della musica.
Per fare un esempio calzante dobbiamo fare riferimento a un altoparlante; quando si
alza il del volume delle casse, si amplifica sia il suono originale sia il disturbo di fondo denominato rumore. Continuando a potenziare il segnale arriveremo a un’emissione sonora
spesso fastidiosa e distorta. Lo stesso fenomeno accade anche nei sensori. Gli ISO effettivi delle macchine fotografiche sono quelli che propongono il
valore più basso disponibile (attenzione non le aree estendibili con apposito menù). Tutte le altre si ottengono con una sovralimentazione elettrica del sensore. Tale
sovralimentazione genera un surriscaldamento con conseguenti interferenze tra i vari pixel che sono all’origine del “maledetto rumore”.
Esempio di foto con rumore di luminanza, di crominanza e banding laterale. Canon 5d MK II a 25.600 ISO e ricercata sottoesposizione corretta
in post con il comando Curve.
Diversi tipi di rumore
Il rumore si presenta essenzialmente in due forme denominate di Luminanza e di Crominanza.
Quello da luminanza si riferisce a un
errore d’interpretazione della fluttuazione luminosa che i pixel rappresentano con una serie di macchie più o meno chiare. L’effetto è molto simile a quello generato dalle
vecchie pellicole analogiche, ma più ripetitivo e meno artistico.
Il rumore di crominanza è generato da un’errata interpretazione dei colori
della scena con conseguente presenza di macchie monocromatiche che si presentano sotto forma dei tre colori primari: rosso, verde e blu. Questo effetto è ben più grave del
precedente perché più visibile e anomalo, per fortuna quasi debellato del tutto nei nuovi modelli di fotocamere.
Queste due tipologie di rumori creano dei pattern, cioè
dei motivi grafici continui che permeano tutta l’immagine. Come se non bastasse, un terzo fastidiosissimo effetto, denominato banding, può generarsi dall’insieme dei due
precedenti, formando delle strisce laterali molto simili al vecchio noise (disturbo) presente nei televisori collegati alle antenne analogiche.
La piramide di Cheope fotografata con una vecchia Nikon Coolpix 5700 nel 2006. Scatto molto rumoroso realizzato a 1600 ISO. Si può notare,
nell’ingrandimento, la presenza del rumore di crominanza ancora molto evidente nei sensori CCD del tempo. Osservando con le tecnologie attuali, questo scatto è quasi
inutilizzabile, ma allora, poter fotografare di notte e a mano libera sembrava una rivoluzione tecnologica rispetto al periodo analogico delle pellicole che non avrebbero permesso
lo scatto senza cavalletti.
Le cause del rumore le abbiamo appena accennate, dipendono essenzialmente dal calore generato dal sensore. Ma i fattori che possono innescare il fenomeno sono molteplici.
Conoscerli è il primo passo per evitarne l’effetto.
- Tipologia del sensore. I sensori CCD surriscaldano maggiormente rispetto ai più performanti CMOS, pertanto la generazione di rumore è più elevata.
Con questi sensori è marcato il rumore da crominanza. Ormai quasi del tutto scomparsi a causa proprio di questo difetto sono stati sostituiti dai più “morbidi” CMOS.
- la sensibilità impostata sulla macchina è uno dei fattori predominanti per la creazione dell’effetto.
- A parità di dimensione e a parità di tecnologia, più pixel ci sono in un sensore e maggiore sarà la presenza di rumore. Bisognerebbe evitare le
fotocamere che possiedono troppi megapixel e invece il mercato punta proprio al loro continuo e superfluo incremento.
- In un’immagine digitale, il rumore si presenta con maggiore intensità nelle ombre rispetto alle luci. Si ha un aumento esponenziale dell’effetto quando
si cerca di recuperare delle foto sottoesposte.
- Il calore genera rumore, di conseguenza tempi di esposizione lunghi creano rumore perché il sensore rimane alimentato per tutto il tempo dell’esposizione
surriscaldandosi.
- Il primo file di ogni sequenza scatto genera meno rumore rispetto a quelli successivi. Se si scattano 10 immagini consecutivamente, a parità di tutti i parametri,
l’ultima foto avrà più rumore delle altre sempre a causa dello stress termico.
- La temperatura ambiente e quella della macchina fotografica stessa sono causa di rumore. In estate, nelle ore più torride della giornata,
il rumore sarà più evidente rispetto a quando la fotocamera era più fresca.
- Usare il live-view surriscalda sensore e macchina. Evitare di utilizzare il live-view a sensibilità esagerate rispetto agli ISO nominali della
macchina fotografica.
- L’uso eccessivo della compressione Jpeg può generare degli artefatti che misti al rumore di base si trasformano in forme e geometrie poco gradevoli.
- L’utilizzo di qualsiasi forma d’aumento della nitidezza digitale genera incrementi visivi della grana.
- Ogni postproduzione eccessiva ne incrementa l’effetto.
Immagine scattata a 6400 ISO – Canon 5d MK II – Il soggetto era illuminato dalla luce di una debole torcia elettrica.
Il file presenta un rumore di luminanza evidente. Per fortuna l’effetto generato da questa macchina è secco e definito.
Soluzioni
Per ognuno di questi fattori esiste una soluzione:
- Scegliere sempre macchine fotografiche con processori avanzati e in grado di contenere i brutti effetti generati dal rumore, possibilmente evitare la corsa all’incremento dei
pixel.
- Bisogna conoscere la propria macchina per capire qual è il vero limite ISO utilizzabile. Scegliete sempre la sensibilità minore possibile. Non utilizzate mai gli ISO
automatici, dovete scegliere voi la sensibilità e non la macchina.
- Nella scelta di un acquisto controlliamo sempre la dimensione del sensore. Le migliori, nel contenimento del rumore, sono le full frame (24x36 mm).
A seguire le APS-C (25,1 × 16,7 mm) per giungere a tutte le altre. All’ultimo posto, ovviamente i piccolissimi sensori dei cellulari.
- Mai sottoesporre troppo le proprie immagini, anzi, se c’è possibilità di scelta, optare per leggere sovraesposizioni. I colori e i toni saranno
facilmente recuperabili mentre il rumore sarà contenuto.
- Quando si eseguono degli scatti molto lunghi, è possibile attivare una speciale funzione delle macchine più evolute in grado di eliminare il rumore generato
dall’esposizione prolungata. La tecnica apportata è fornita da un secondo scatto di pari lunghezza ma a otturatore chiuso. Lo scatto genererà ugualmente un file digitale dove
saranno presenti i pixel luminosi del rumore. Essi saranno esclusi dallo scatto vero attraverso un’elaborazione in macchina. Questa funzione è da disabilitare quando non
strettamente necessaria, perché a ogni scatto realizzato se ne faranno in realtà 2. Se il primo sarà di 30 secondi il lavoro totale verrà eseguito in 1 minuto (30”+ 30”).
- Ogni tanto fate “respirare” la macchina fotografica, gli scatti a raffica e il surriscaldamento non aiutano a contenere il rumore.
- Non dimenticate mai la macchina in luoghi caldi. Essa è come un computer, quando si surriscalda continua a funzionare ma è meno performante.
- Se decidete di utilizzare il live view ricordatevi di spegnerlo quando non è necessario, evitando consumi eccessivi delle batterie e scongiurando la generazione di calore.
- Se volete avere sempre immagini superiori al normale, dimenticatevi il formato jpeg e dirigetevi senza esitazioni all’utilizzo costante del formato RAW.
- Disattivate tutte le impostazioni di nitidezza in camera e applicatele solo ed esclusivamente in postproduzione.
Nel prossimo articolo affronteremo come si può contenere e ridurre il rumore digitale attraverso software e tecniche di fotoritocco.
Foto scattata nel 2017 con una Canon 5D MK III a 12.800 ISO. La tecnologia progredisce e uno dei punti fondamentali su cui competono tutte
le case produttrici è proprio sul contenimento del rumore digitale. La miniera di carbone in Pennsylvania è stata raccontata attraverso l’utilizzo di alte sensibilità per
esaltare le fioche luci che utilizzano gli operai nelle lunghe ore di scavo.
Max Ferrero
Giornalista dal 1987, Max Ferrero ha pubblicato su tutte le maggiori testate italiane e i suoi reportage si sono concentrati e specializzati nell'ambito della ricerca sociale. Servizi fotografici sulla guerra nell'ex Jugoslavia, il Kurdistan iracheno, il Centro America, l'immigrazione extracomunitaria, i nomadi, gli ospedali psichiatrici e le carceri sono stati oggetto di pubblicazioni e mostre sia per Associazioni, Musei o Comuni quali: Torino, Milano, Lucca, Roma, Novara, Racconigi, Venaria Reale, Chivasso, Gaeta. Ha collaborato con le agenzie fotogiornalistiche: Lucky Star, Photodossier, Linea Press, Blow Up e attualmente AGF. Co-fondatore dell'agenzia fotografica Sync-studio di Torino, attualmente lavora anche su temi geografici e didattici. Attraverso la sua attività d'insegnante, collabora dal 2009 con il sito di divulgazione fotografica Fotozona (www.fotozona.it) curandone gli articoli tecnici e l'aspetto critico. Dal 2011 è professore di fotografia presso l'Accademia di Belle Arti di Novara. Nel 2017 pubblica presso la casa editrice Boopen il libro di tecnica base "tre gradi di profondità fotografica".